Neuengamme, il campo di concentramento invisibile
Last Updated on 28 Gennaio 2022 by Simona Viaggia Come Il Vento
Neuengamme era un nome del tutto sconosciuto per me fino a quando non ho cominciato ad organizzare il nostro viaggio ad Amburgo.
Auschwitz, Dachau, Buchenwald sono di solito i nomi che rimbombano nella mente con religioso rispetto quando si parla degli orrori del Terzo Reich. Neuengamme ai più suonerebbe come un’anonima parola tedesca e niente più. Eppure Neuengamme è stato il più grande campo di concentramento nel Nord della Germania.
La storia di Neuengamme
Il campo di concentramento di Neuengamme viene aperto come sottocampo di Sachsenhausen nel 1938. A dicembre giungono i primi 100 prigionieri, in prevalenza dissidenti tedeschi, che vengono alloggiati in una fabbrica di mattoni dismessa. Sono gli stessi prigionieri a costruire il campo vero e proprio in cui verrà aperta una nuova fabbrica di laterizi.
Sarà quella la funzione principale del campo: fornire manodopera per i grandi progetti del Führer.
Dal 1940 diventa autonomo ed indipendente con, a sua volta, ben 85 sottocampi.
I detenuti sono impiegati nella produzione dei mattoni, nella realizzazione di un canale che permetta di far arrivare le chiatte fino al campo, nella miniera di argilla e, a partire dal 1943, nella costruzione della ferrovia.
Nel giro di pochi anni il numero di prigionieri cresce drammaticamente. Il numero di tedeschi detenuti si riduce ad appena il 10% mentre aumenta il numero di sinti, testimoni di Geova, omosessuali ed ebrei fino ai prigionieri di guerra sovietici che diventeranno il gruppo più numeroso.
Nel 1942 anche Neuengamme ha il suo crematorio e qualche mese dopo anche la camera a gas. Nel luglio del 1944 arrivarono a Neuengamme almeno 10.000 ebrei provenienti da Auschwitz e dall’Ungheria.
Nel tardo aprile del 1945 i nazisti cominciano l’evacuazione del campo. Circa 10 mila prigionieri vengono portati a Lubecca ed imbarcati su 3 navi. Una di queste, la Cap Arcona, viene affondata dagli aerei della RAF. Nell’attacco muoiono circa 7000 persone. Alla fine della guerra troveranno la morte a Neuengamme 55 mila persone.
Tra queste il piccolo Sergio de Simone di appena 7 anni. Internato ad Auschwitz-Birkenau, Sergio è tra i venti bambini che il famigerato dottor Mengele invia a Neuengamme nel novembre del 1944 per farne delle cavie.
A condurre gli esperimenti c’è il dottor Heissmeyer che è convinto che, iniettando i bacilli della tubercolosi, potrà raccogliere gli anticorpi e preparare il vaccino. Nel marzo del 1945 asporta i linfonodi ascellari ai bambini ma, naturalmente, non si trova alcun anticorpo.
Siccome le truppe inglesi sono ormai vicine ed a Berlino non vogliono lasciare tracce degli esperimenti, decidono di mandare i bambini ad Amburgo alla scuola Bullenhuser Damm ormai trasformata in prigione dalle SS. Qui iniettano morfina ai bambini per poi impiccarli. I loro corpi bruceranno nel crematorio del campo.
Per due decenni nessuno menziona ciò che è accaduto nella scuola che nel frattempo ha riaperto. Sono gli ex deportati a fare pressioni affinchè venga posta una lapide. Sono sempre loro a combattere affinchè Neuengamme diventi un memoriale.
Insomma l’impulso per una cultura commemorativa parte da fuori. Il campo di concentramento resta per gli abitanti del villaggio un corpo estraneo.
Come arrivare a Neuengamme
Il campo di concentramento di Neuengamme si trova ad appena 10 km da Bergedorf, un tranquillo e verdeggiante distretto di Amburgo, raggiungibile dalla stazione centrale tramite la S21 direzione Aumühle o la S2 direzione Bergedorf. Di qui poi si raggiunge il KZ di Neuengamme con le linee 227 o 327 dal marciapiede H della stazione degli autobus.
Il viaggio dura circa 30 minuti ed una volta lasciata Bergedorf ci si immerge nella verde campagna tedesca o meglio in quell’area chiamata Vierlande che per secoli ha fornito alla città di Amburgo fiori, frutta e verdura. Con la bonifica delle pianure paludose intorno all’Elba questa zona divenne terra fertile decretando la richezza dei suoi abitanti.
Il tragitto per arrivare al KZ di Neuengamme è di quelli idilliaci con villaggi che si sviluppano lungo la strada. Ampi prati verdi, distese di fiori, splendide case a graticcio con i tetti di paglia ricoperti di muschio e persino un vecchio mulino.
Così scorre la strada che dal villaggio di Neuengamme conduce verso il campo, con queste immagini quasi ferme nel tempo fatte di Hufnerhäuser, le fattorie dai tetti di paglia costruite lungo le dighe. Se fossimo in viaggio in macchina ci fermeremmo senza dubbio per curiosare tra i cottage ma la cadenza delle corse dell’autobus è ogni mezz’ora e non ci sembra il caso di perdere tempo.
I colori e dalla bellezza del villaggio sono incantevoli ma mi è impossibile evitare di pensare alla condizione di abbrutimento vissuta da migliaia di prigionieri a pochi passi da questo idillio. Come potevano i suoi abitanti vivere nell’indifferenza verso quello che accadeva nel mezzo del loro villaggio? Eppure i prigionieri che arrivavano alla stazione attraversavano il paese per raggiungere il campo e gli ufficiali nazisti frequentavano i Kneipe di Neuengamme.
Il campo e le decine di migliaia di priogionieri erano come invisibili per gli abitanti. Un corpo estraneo per la comunità, tanto che per i suoi abitanti i prigionieri erano semplicemente zebre per via dei loro vestiti a strisce. La deumanizzazione dell’individuo.
Visitare il Memoriale del Campo di Concentramento di Neuengamme
KZ Gedenkstätte (Ausstellung), la fermata di riferimento per chi vuole visitare il campo, è proprio davanti al Memoriale. Siamo in pochi nel campo. Solo una classe di liceali tedeschi ed una famiglia. In tutta onestà, da visitatrice, anche io mi sento un corpo estraneo nel villaggio e tale mi sembra ancora oggi il Memoriale. È una sensazione strana da spiegare ma è quasi come se fossimo una fastidiosa presenza. La cosa non sorprende molto il mio George che ha percepito la stessa sensazione diversi anni fa a Mauthausen.
Il Memoriale è molto diverso da quelli finora visitati. Ricorda Birkenau per i suoi grandi spazi aperti anche se le somiglianze finiscono lì. Sarà forse perchè le baracche in cui vivevano gli internati non esistono più, sostituite da perimetri di pietre che segnalano la presenza dei blocchi in cui vivevano i pregionieri. È una bella giornata di sole, il cielo è limpido con delle belle nuvole bianche ma un gelido vento del nord ci sferza il viso e ci congela le mani.
Siamo ormai alle porte di dicembre, non c’è la neve che abbiamo trovato ad Auschwitz a farci immaginare le condizioni patite dai prigionieri, ma le pale eoliche proprio a ridosso del campo ci fanno capire chiaramente che quel vento non è affatto una novità per Neuengamme. Immagino i prigionieri affrontare le gelide temperature invernali con le leggere divise e mi si accapona la pelle.
Nel lato orientale del memoriale, quello che visitiamo per prima, oltre ai perimetri di pietre posti a ricordo delle baracche, vi sono le fondamenta del bunker adibito a prigione. Poco più in là una targa ricorda il luogo in cui si trovava il crematorio. Nel prato verde si perdono i resti di un binario su cui si è arrestata la corsa di un vagone della DB da cui guardano impietriti i corpi ed i volti smunti dei prigionieri.
Con un percorso circolare giungiamo allo Stichkanal, un canale di 1,5 km nella cui costruzione furono impiegati 1600 prigionieri. Il canale serviva per collegare il campo con un braccio morto del fiume Elba in modo da permettere l’arrivo delle chiatte che caricavano i laterizi per Amburgo. Le dure condizioni di lavoro ed i lunghi inverni portarono alla morte tanti dei prigionieri impiegati nella sua realizzazione.
Il lavoro più duro si svolgeva nella fabbrica di laterizi. Pesanti vagoni sono ancora fermi poco distanti dalle rampe che portavano alla manifattura. Forse la palazzina che rende di più l’idea di quanto a Neuengamme il lavoro fosse annientamento. Una ripida rampa lungo la quale esseri umani sfiniti e denutriti dovevano spingere vagoni carichi di mattoni. Il tutto per costruire i più importanti edifici di Amburgo, considerata dal Reich la porta di accesso al mondo.
In un’ala della manifattura è ospitata la mostra “Lavoro e Annientamento”.
Attraverso una serie di fotografie si ricostruisce la storia della fabbrica di mattoni all’interno del campo e sulle condizioni di lavoro. La mostra è davvero scarna se immaginata inserita nel grande capannone che la ospita.
Il tetto è puntellato di buchi ed i raggi del sole vi filtrano attraverso. Mi avvicino alla rete che separa il capannone dal resto della costruzione. Si intravedono forni di lavoro e carrelli con i mattoni ricoperti dalla polvere. L’impressione che mi faccio scrutando attraverso maglie impolverate è che un’importante tassello del memoriale sia proprio lì dietro e ahimè ci è precluso.
Nell’ex garage delle SS, dove campeggiano a caratteri cubitali scritte in tedesco, si tiene un’altra delle mostre permanenti: “Gli uffici delle SS nel campo di concentramento di Neuengamme”.
Qui, sfogliando i documenti del processo e leggendo le biografie degli ufficiali, ripercorriamo la storia dei crimini di cui si macchiarono. In questa sezione si documenta l’organizzazione delle SS nel campo ed il sistema di guardia all’interno a Neuengamme e nei suoi sottocampi.
Mobilitazione per l’economia di guerra: il lavoro coatto nel campo di concentramento per l’industria degli armamenti. È negli ex locali della Walther-Werke che è mostrata la storia del lavoro forzato al servizio dell’industria bellica.
Nel campo i prigionieri riparavano i motori delle navi e costruivano granate, pistole e fucili. Inoltre era presente anche una falegnameria. Tra i documenti esposti anche le lettere scritte dai lavoratori forzati.
Il mio sguardo si perde fuori mentre giro nell’officina. Un bel cielo azzurro, il prato verde. Che sensazione di serenità mi trasmette.
Eppure quant’è ingannevole a volte la vista. Quanti sguardi disperati si saranno persi attraverso quella finestra anelando la libertà?
Usciamo dal Memoriale e percorriamo il sentiero che porta all’Haus des Gedenkens, la Casa della Memoria. Il silenzio avvolge tutto ed è rotto solo dal rumore del freddo vento del nord che avvolge le foglie in un vortice. Un soffice letto di foglie dai colori caldi accompagna la nostra passeggiata verso il memoriale in ricordo dei deportati. Mi piace pensare che in quell’atmosfera ovattata circondata dagli alberi le vittime possano aver trovato pace.
Nell’Haus des Gedenkens ci sono lunghi pannelli di stoffa che riportano in ordine di data di morte i nomi delle vittime. Scorro i nomi e le nazionalità. I nomi italiani mi fanno sussultare. Avrei potuto essere anche io tra quelli che oggi vengono qui per ricordare i propri familiari. Qualcuno ha appeso la foto dei propri cari con una spilletta, altri hanno lasciato fiori o piccole targhe in memoria. Teli senza nomi sono dedicati alle vittime sconosciute.
Proprio fuori questo luogo del ricordo, un piccolo sentiero lastricato porta alla stele di 27 metri rappresentante il camino del crematorio. Lungo di esso una serie di targhe ricordano la nazione di provenienza delle vittime. Non c’è nazione europea che sia scampata all’orrore. I colori dei nastri che avvolgono i fiori svelano i Paesi che contarono più vittime. Straziante è la statua del prigioniero morente che si contorce dal dolore.
La fermata dell’autobus è proprio davanti all’area dell’Haus des Gedenkens. L’autobus che dovrebbe riportarci ad Amburgo è passato da poco e gli oltre venti minuti d’attesa sotto la pensilina in aperta campagna ci sembrano un’infinita eternità.
Il freddo è pungente e penetra nelle ossa nonostante i nostri pesanti giubbotti. Ci stringiamo per farci caldo. Mi sento una privilegiata.
Ecco arrivare l’autobus. Fuori dai finestrini la verde campagna tedesca e le case a graticcio con i tetti di paglia ricoperti di muschio. È di nuovo in scena l’idillio.
Sono convinta che il male non sia mai banale ma sempre intenzionale, eppure in quel periodo i più si voltarono dall’altra parte per non guardare. Furono molto pochi i “giusti” che a ciò si ribellarono non solo in Germania ma nel mondo.
Certo non era facile e non sta a noi, con le nostre vite comode e più o meno tranquille, giudicare quelle generazioni.
Rimane però sempre un profondo senso di sgomento…
Neanche io come te credo nella banalità del male. Tutto quello che è stato fatto durante il nazismo è stato fatto con assoluta consapevolezza ed incontestabile è stata la malvagità dei suoi carnefici.
Sì, comodamente seduti nelle nostre case, è facile esprimere un giudizio su quello che è stato. Tuttavia davanti alle atrocità vissute durante quei terribili anni è così difficile accettare che solo in pochi abbiamo mosso un dito.
La vastità dell’argomento è paragonabile al dramma di ciò che è stato. Nessuno mai, al di fuori di coloro che sono state le vittime di questa strage, potrà mai capire ne descrivere. Ciò che ci è permesso, e concesso, è avere il dovere morale di non dimenticare, affinchè ciò che è successo non succeda mai più… #ionondimentico
Sì, è un dovere morale non dimenticare e fare in modo che nessuno dimentichi
Non ci riesco mia cara Simona. Ho visto musei, luoghi commemorativi, partecipato a eventi, letto libri, visto film. Ogni volta uno strazio ma ai campi di concentramento come questo ho detto no. Perché è un dolore troppo grande, la prova tangibile di quanto odio sia capace l’uomo e soprattutto di quanto è facile che accada. Ancora, è nella piena indifferenza altrui…
Sì Benedetta, non è affatto facile psicologicamente visitare un campo di concentramento. Almeno non per quelli che vogliono capire, che non riescono a darsi risposte. Sì, è un dolore troppo grande per chi non è indifferente alla sofferenza altrui
Quanta verità nelle tue parole…quanto odio dovremmo ancora vivere? E cosa lòasceremo alle future generazioni? 🙁
Spero che questo periodo buio veda presto una fine
Lo spero anche io, anche se ciò che ci arriva dai media non è poi così roseo…
Che immenso strazio reso ancora più atroce da questo contrasto “idilliaco” di cui giustamente parli. Ecco quello è fuori luogo, non i visitatori! Come ti dicevo su IG trovo ingiusto che la natura sia quasi “irrispettosa” nell’essere così bella e feconda proprio su quel terreno che ha visto tanta morte. Sembrano vaneggiamenti i miei…scusami 🙁 Sapevo così poco di questo campo, lo conoscevo solo di nome ma vedo che anche qui non è mancato il pacchetto completo di barbarie. Sul discorso dei silenzi e del memoriale, purtroppo c’è da dire che la maggior parte della popolazione non conosceva gli abomini perpetrati nei campi, ho visto dei video in cui dopo la liberazione, i russi costringevano donne e uomini tedeschi ad entrare nei Lager per fargli vedere i corpi accatastati, i forni, le condizioni ecc. Durante il video si vedono molti di loro svenire o scoppiare a piangere. C’è stata un’abilità tale a nascondere tutto che la verità si è saputa purtroppo molto tempo dopo. Non è mai facile approcciarsi a questo tipo di visite ma io credo che sono necessarie, quasi obbligatorie. L’odio purtroppo è ancora fra noi e questa cosa onestamente proprio non me la spiego… 🙁 Ti abbraccio Simona! <3
Sì Daniela, ho visto anche io i video della popolazione che sveniva. Sono sicura che molti ignoravano ma tanti altri sapevano..L’odore di morte e le ceneri dei camini dei crematori che ricoprivano le città nei dintorni non potevano passare inosservati. Su Neuengamme ho scoperto che c’è stata una coltre di silenzio per anni finchè una studiosa non ha cominciato ad intervistare la popolazione. Peccato che il libro non sia stato tradotto (Das Lager im Dorf lassen: Das KZ Neuengamme in der lokalen Erinnerung).
Non penso siano vaneggiamenti i tuoi tanto che tutta quella bellezza, quel verde rigoglioso, quel bel cielo azzurro sono sembrati pure a me un’ingiustizia.
Sai cosa ho trovato irrispettoso (e la natura inconsapevole non c’entra affatto)? Il parco eolico a ridosso del Memoriale. Quello sì che potevano evitarselo, almeno secondo me.
Onestamente mi sto ricredendo sull’obbligare alla visita ad un KZ. Ricordo a Dachau delle scolaresche tedesche ridacchiare tutto il tempo. Ad Auschwitz come hai potuto vedere (con orrore) anche tu molti fanno selfie e gesti di vittoria. Dovrebbero essere visitati con più consapevolezza.
Non solo c’è ancora tanto odio tra di noi ma sembra stia persino aumentando. Che brutti tempi!
Un abbraccio cara Daniela! <3
Il silenzio, il cielo azzurro, la natura. Il contrasto con il freddo dell’anima, nel pensare a ciò che è stato e speriamo mai più sarà…
Lo spero Ale. C’è un tale imbarbarimento che mi domando se davvero sappiamo imparare dal passato.
Ed è proprio questo ciò che personalmente mi preoccupa…ciò che accade, i vari atti di antisemitismo, se pur solo manifestati con scritte…mi incutono timore…è solo pubblicità o è un’avvisaglia?…
Agghiacciante, mi viene in mente solo questo. Tanto dolore che è in contrasto con il paesaggio circostante. Mi hai fatto tornare in mente la sensazione di disagio, di paura e di vergogna che ho provato durante la vista al KL di Auschwitz l’anno scorso.
Le sensazioni che si provano ad Auschwitz sono davvero un pugno allo stomaco!