Addii che non vorresti mai dire

Addii che non vorresti mai dire

Last Updated on 24 Gennaio 2022 by Simona Viaggia Come Il Vento

Qualche mattina fa ho ricevuto da una mailing list una email che cominciava così: “chi non muore si rivede, si dice così?”.
È stata una pugnalata al cuore.
Ma chi me l’ha inviata non ha colpe.
È solo che in queste settimane qualsiasi frase o fatto che evochi la morte scatena in me profondo dolore.
Non sono qui a parlarvi di viaggi.

Oggi ho bisogno di liberare il mio cuore, di trasformare in parole i pensieri e le emozioni che sto vivendo da quando mia mamma ci ha lasciati.

Alla fine è il mio blog, il diario della mia vita e di chi sono e mia mamma ha fatto di me l’essere umano che sono.
Se non posso sfogarmi qui, dove altrimenti?

Il COVID

Ti ho vista accusare i primi sintomi del COVID la vigilia di Natale. Piano piano la tosse si è fatta più insistente.
Le medicine consigliate dal tuo pneumologo, l’unico santo dottore che ha avuto a cuore la tua situazione nonostante fosse Natale, ci hanno illuso per un giorno che fosse la tua bronchite cronica.
Mario e Lilli avevano capito tutto. La piccolina continuava a saltare sul bracciolo mentre Mario veniva ad acciambellarsi accanto alla tua poltrona nonostante io l’allontanassi.

Abbiamo visto assieme La Grande Fuga. Non ricordo che giorno fosse. Natale o forse Santo Stefano.
Ero lì in cucina con te a farti compagnia. Temevamo fosse il COVID ma non potevamo dirtelo.
Ma sono certa che dentro di te lo sapevi. Chissà se hai avuto paura.
Cosa avrei dato per portare io quel fardello maledetto.


Strano guardare con te un film di guerra. Non li amavi. Ma c’era Steve McQueen che ti piaceva così tanto per il suo essere ribelle e spericolato, come eri stata tu da giovane.
Ti ricordi quando divertita ed orgogliosa ci raccontavi delle tue corse da ragazza alla guida della tua cinquecento?
Dicevi di aver fatto il sottopasso su due ruote.
Mi sembra di vederti goderti felice e spensierata la tua gioventù.


Addii

Eri stata una bimba pestifera. Così ci dicevi con un sorrisetto compiaciuto.
Il terrore dei tuoi genitori che, per essere liberi di partire, dovevano assecondarti a furia di bambole che sistematicamente finivano all’ospedale per le riparazioni. Erano i tuoi anni a Roma. Forse i più belli.
Almeno dai tuoi racconti.


Sistemando gli addobbi di Natale, un Natale che non amerò mai più, ho ritrovato una scatola con i tuoi ricordi. Non l’avevo mai vista prima. Nessuno di noi la ricorda. Nemmeno papà.

C’erano le tue foto di classe all’istituto S. Angela Merici sulla Salaria, le tue pagelle, le tue note di merito (queste sì che sono state una sorpresa), la foto ed il diario della tua comunione, una lettera di Natale scritta in francese per i tuoi.



C’erano i momenti della vita che ti avevano emozionato: la Gazzetta del Mezzogiorno che celebrava lo sbarco sulla Luna ed i ritagli dei giornali dedicati alla morte di Papa Luciani. I nostri lavoretti di classe.
C’era la foto di un fante della prima guerra mondiale. Chissà chi era. Il bisnonno, uno zio, non lo saprò mai.
Una foto in bianco e nero dei primi del ‘900 di una neonata, sul retro scritte in inglese: la tua mamma che era nata a Manhattan il 4 di luglio, come raccontavi con orgoglio a tutti.



Ed il mio certificato di nascita con l’orario in cui sono venuta al mondo: le 7.45 di un 22 gennaio.
Mi hai fatto gli auguri ogni anno alle 8 del mattino (ti eri presa 15 minuti accademici, eh?) da quando ho memoria.

Chi mi chiamerà ogni 22 gennaio alle 8 del mattino per farmi gli auguri come facevi tu?  Oggi è il mio primo compleanno senza di te e sento un vuoto dentro che mi trafigge il cuore.

Hai sempre detto che non avresti voluto un funerale all’italiana. Volevi una di quelle riunioni che si vedono nelle pellicole americane. Con i parenti e gli amici che si incontrano raccontando episodi della vita del defunto senza tante lacrime. Ridendo e mangiando.

Non abbiamo potuto farlo per il COVID. Ma abbiamo pranzato tutti assieme.
Il tuo amato Peppiniello è sceso dalle Marche per dirti addio. Abbiamo riso e mangiato e parlato di te.
Nel tuo portafoglio abbiamo trovato tre foto. Quella della tua cara sorella, una di te in bikini, bella e sorridente con un caschetto nero (che sventola che eri. Mica scemo il babbo), ed una foto di Mario.

Lì abbiamo proprio riso perchè non era Mario tuo marito, ma Mario il cane. Non so se ti rendi conto ma portavi con te una foto del cane invece della nostra.

Io basita, come direbbe la tua amata Sole.

Ho sistemato le foto dell’album del tuo matrimonio. Dio quant’eri bella con quel tuo vestito corto e la cuffietta di petali. Ti sei sposata in chiesa con un abito che a quei tempi doveva essere qualcosa di rivoluzionario.


Non sei mai stata una donna comune. Eri una ribelle ma con giudizio.
Hai voluto lavorare, avviare una tua attività. L’unica tra le donne della tua famiglia. Raro in quegli anni per una del sud.
Eri un’artigiana bravissima. Chiunque abbia comprato i tuoi lavori si ricordava di te, anche quando eri andata in pensione.

Non sono una ribelle, ma so per certo che quel senso di indipendenza che mi ha sempre caratterizzato l’ho preso da te. Non hai mai cercato di dissuadermi dalle mie scelte. Quando dopo il liceo ho deciso di prendermi un anno sabbatico all’estero non mi hai fermata, anzi.
Mi raccontavi sempre che avevo cominciato ad essere indipendente quel giorno che sul seggiolone, stanca di aspettare che i miei fratelli più grandi smettessero di fare capricci, avevo preso il cucchiaio e mi ero messa a mangiare da sola.

8 gennaio

18.03 di sabato 8 gennaio. Non dimenticherò mai quella telefonata. È arrivata sul mio telefono.
Quando sul display è comparso il nome “rianimazione” sapevo già che avrei ricevuto la più brutta delle notizie.
Ho lasciato parlare la dottoressa (io e Laura l’avevamo soprannominata “mai na gioia” perchè era sempre così asettica in qualsiasi comunicazione) ma sapevo esattamente cosa stava per dirmi. Quando ha detto “le mie condoglianze” per la prima volta mi è parso di percepire nella sua voce un accenno di empatia.


Fuori le strade hanno cominciato a bagnarsi di una pioggerellina malinconica. Ora so che immagine ha la tristezza.

Il giorno del tuo funerale dovevi essere tanto arrabbiata con noi perchè lì fuori si è scatenato di tutto. Pioggia e vento hanno sferzato i nostri visi.
Nella piccola chiesetta del cimitero, perchè i morti per COVID non hanno diritto ad un funerale in chiesa, l’unico rumore era quello della pioggia battente sui cipressi.
Sappiamo perchè eri arrabbiata ed avevi ragione. Non ti avevamo ascoltata e ci stavi sgridando.

Hai continuato per tutta la notte. Quel vento … quel vento si è fatto sentire violento fino al mattino.
Questa volta ce l’avevi con me ed avevi ragione. Sì, perchè solo quando ho ricordato ti sei placata.
Ora so che immagine hanno pioggia e vento.


Al cimitero mi è parso di sentirti quando il vecchio cappellano ci ha guardato con disapprovazione quando abbiamo detto che ti chiamavi Liliana. Perchè era il tuo terzo nome quello che amavi, l’unico con cui tutti quelli che ti hanno voluto bene ti chiamavano.
Ma non esiste mica una santa Liliana.
Quando ha detto che a 78 anni tutto sommato era giunto per te il momento di morire, gli è caduta la stampella. Ah se sono sicura che sei stata tu! E mi è parso di sentire la tua voce, quella con cui ci sgridavi, quando il cappellano è passato a raccogliere le offerte, estorte nel vero senso della parola.

Ti ho immaginato mentre gliene dicevi quattro.


Ho raccolto un petalo da una delle rose della tua corona. Di un rosso caldo, morbido come il velluto. Ti sarebbe piaciuta la composizione floreale. Era del tuo fioraio preferito.
Amavi tanto i fiori e le piante. Avevi il pollice verde. A malincuore non l’ho ereditato.
Ma babbo per fortuna si sta occupando dei balconi. Quest’anno sarebbero stati 60 anni da quando vi siete incontrati.
Una vita assieme. Babbo è inconsolabile, anche se eravate come Sandra e Raimondo.


Ti abbiamo seppellita fuori, dietro la tomba della tua mamma. Era il tuo desiderio. Non volevi stare nella cappella di famiglia, come la nonna d’altra parte.
Ora siete di nuovo assieme.
Volevi il sole, le piante in fiore e l’aria.

L’aria. Negli ultimi 5 anni la tua patologia te ne aveva privata. Ti aveva privato di tante cose. Della libertà, dell’autonomia, dell’indipendenza.
Della bellezza, ma questo lo pensavi solo tu, perchè eri sempre bellissima con il tuo cespuglio di capelli ricci. Ogni riccio un capriccio, dicevi. 
Ma più di tutto ti mancava l’aria.



Quando mi viene un groppo in gola penso che ora sei di nuovo felice. Ti immagino poter sgambettare di nuovo fuori, da sola. Libera ed indipendente.

Ti ho sognata una settimana fa. Il giorno dopo aver trovato la forza di sedermi sulla tua poltrona. Eri distesa su un lettino. Improvvisamente ti sei alzata, hai staccato i fili e sei andata via, senza nemmeno guardarci. Libera finalmente. Non ti sei fermata. Ed hai fatto bene.
Un po’ ci avevi schifati, hai ragione.
Eri stanca mia cara mamma.
Forse ti aggrappavi alla vita più per noi che per te.
La tua vita non ti piaceva più.

Il vuoto che hai lasciato è enorme. Quando sono a casa sono in attesa. Come se aspettassi il tuo ritorno dall’ospedale.
Questo è forse l’aspetto più brutto di come te ne sei andata.
Ti abbiamo visto allontanarti in ambulanza. Per giorni le nostre vite hanno avuto senso solo nel momento della telefonata quotidiana con l’ospedale
Non sei più tornata e noi siamo ancora in un limbo. In attesa di un ritorno che non ci sarà mai.
Questo credo sia ciò che rende ancora più straziante la perdita di una persona cara a causa del COVID.

Per due anni ho pensato che questo maledetto virus stesse saccheggiando le nostre vite. Privati degli abbracci e dei baci, della serenità, della quotidianità a cui eravamo abituati, dei viaggi e dei rapporti personali. Due anni cancellati dal calendario della nostra esistenza. 
Ora invece è tutto diverso.
Quando tra dieci anni ricorderò questo periodo della mia vita l’unico mio pensierò sarà che il COVID si è portato via la mia mamma. L’unica cosa che di questo virus mi faceva paura.

Davanti alla tua bara, nella chiesetta del cimitero, io e Laura ti abbiamo lasciata andare con le lacrime sussurandoti questa poesia. Perchè alla fine, ovunque tu sia, sarai sempre con noi.
Mi sono ripromessa di portarti nella tua amata Roma.
Perchè il tuo cuore lo porto con me. Ovunque.


Addio Mamma


Il tuo cuore lo porto con me
Lo porto nel mio
Non me ne divido mai.
Dove vado io, vieni anche tu, mia amata;
qualsiasi cosa sia fatta da me,
la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato
perché il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo, perché il mio,
il più bello, il più vero sei tu.
Questo è il nostro segreto profondo
radice di tutte le radici
germoglio di tutti i germogli
e cielo dei cieli
di un albero chiamato vita,
che cresce più alto
di quanto l’anima spera,
e la mente nasconde.
Questa è la meraviglia che le stelle separa.
Il tuo cuore lo porto con me,
lo porto nel mio.

Edward Estlin Cummings